Premessa
L’approccio alla tematica proposta è di tipo psicologico con riflessioni che provengono dal mio lavoro di psicoterapeuta, di chi, cioè, incontra la sofferenza delle persone e quotidianamente è chiamato a confrontarsi con chi soffre rifiuti, paure, umiliazioni, vere o presunte, da parte di altri… e non si trova a suo agio nel contesto più ampio delle relazioni sociali… e si ritira in se stesso o sperimenta negli attacchi di panico ciò che significa morire oppure perde il senso del vivere ed attende come benvenuta la morte come liberazione dal “male del vivere”.
Assetati d’amore, di comprensione o anche solo di “sentirsi esistere” coloro che soffrono depressioni vivono al “freddo” e al “buio”, incapaci di uno scatto di volontà al quale sono costantemente sollecitati dagli altri e finiscono per ritenersi incapaci se non proprio in colpa.
La coppia risulta essere, al contrario, il luogo degli affetti, della comprensione, del caldo, delle emozioni e della luce. Pertanto vivere bene la vita di coppia è già di per se stesso una contaminazione positiva dei malati rapporti sociali.
Riflettiamo sul messaggio poetico che ci viene da Prévert
La coppia in contrasto con il contesto sociale (i passanti)
Tutta la produzione poetica di Prévert è pervasa dall’idea che l’unica salvezza possibile del mondo è riposta nell’amore: amore implorato e sofferto, amore tradito e sempre ricercato, amore non imbrigliabile in schemi ed istituzioni al punto che chi vuole sottometterlo finisce per perderlo.
La coppia di ragazzi che si baciano (abbracciano) rappresenta il luogo delle emozioni, della tenerezza, della vita affettiva… dell’amore che non alberga tra i passanti, nella società (Prévert conosce due guerre… e che guerre!)… è lontano dal mondo. Si trova molto più in alto ed espande l’abbagliante luce propria dell’amore. E la luce si vede, anche nella notte.
I passanti, in contrasto, rappresentano quelli che sono fuori dal circuito delle emozioni amorose… legati alle apparenze, alle istituzioni e manifestano sentimenti propri dell’odio: rabbia, disprezzo, risa e invidia. Nel buio della notte. I sentimenti dell’odio ammorbano tutte le relazioni sociali mettendo in risalto una società ammalata.
La società, reticolato di relazioni
Immaginiamo che il grafico rappresenti tutta la società, nelle sue articolazioni comunitarie. Ebbene tra tutti gli individui dell’universo, anche considerati nel loro evolversi storico esiste una connessione in quanto ogni individuo appartiene a un tutto che si chiama umanità.
Ogni individuo pertanto quando giunge in questo mondo non può sottrarsi all’influenza del tutto, è sensibile a tutto ciò che accade vicino e lontano, nel tempo e nello spazio. E’ vero che ogni persona è unica, irripetibile, originale, ma risente della connessine con tutti gli individui, pure essi unici. L’unicità di ognuno rappresenta anche il particolare compito che ciascuno è chiamato a svolgere in questo mondo e perciò ogni persona è esistenzialmente insostituibile.
Questo senso di appartenenza all’umanità viene sperimentato nel concreto quando si è dentro una comunità e nei vari gruppi di appartenenza.
La comunità e le comunità
La parola stessa sta ad indicare che l’individuo non è solo, ma vive “in unità con…” . Gli intenti, le finalità di ogni gruppo e comunità caratterizzano il tipo stesso di aggregazione e rappresentano il principio di unificazione. Si formano pertanto delle relazioni (dal latino = “re-ligare”, legare insieme) attraverso le quali chi appartiene alla comunità si sente legato, in relazione.
Gli scopi e le finalità, più o meno espresse e manifeste sono quindi, prima ancora delle attività, il principio di connessione tra le persone.
Ogni persona poi fa parte di più comunità e, all’interno delle comunità di un numero non precisato di gruppi. Si vengono così a formare comunità di intenti come la famiglia, la chiesa, il lavoro, la scuola, il divertimento…
Apparteniamo inoltre a comunità più o meno scelte come la comunità civile (paese, città, quartiere…), comunità sociale e politica – economica – storica e territoriale (patria), ed infine apparteniamo alla comunità mondiale (degli uomini).
Come è facile intuire ogni individuo entra in un reticolato complesso di relazioni di cui si nutre, ottenendo dei benefici, o di cui soffre ottenendo dei dispiaceri. Essere inseriti in questo reticolato significa in bene o in male subire un influsso, positivo, se la comunità è vitale e negativo, se la comunità è ammalata.
E’ vero anche che ogni uomo offre alle sue comunità di appartenenza un apporto più o meno incisivo che dipende sia dal fatto di esserci, sia dal fatto di esserci in certo modo. Proprio come un sasso lanciato in uno stagno provoca onde tali che toccano tutta la superficie dell’acqua.
La società ammalata
In “Elogio della depressione”, Einaudi 2011, un sociologo, Aldo Bonomi e uno psichiatra, Eugenio Borgna, analizzando le comunità nelle quali operano sono concordi nell’affermare che “gli individui, le famiglie e le comunità sono oggi intrappolate in un circuito di paura, angoscia, rancore, incapaci di dare un significato collettivo alla sofferenza”.
Essi parlano di sofferenza psichica che si manifesta nelle varie forme di depressione, di una diffusa malinconia e nella moltiplicazione degli attacchi di panico. Chi soffre non trova comprensione e affetto nelle relazioni sociali, ma si scontra con la paura e l’angoscia, il rancore e la litigiosità, che spingono a chiudersi e a difendersi. Come può una comunità comprendere empaticamente, tendere una mano amica, gratuita e libera se l’intelaiatura dei rapporti è fondata sulla non autenticità, sull’avere e sull’apparire? Come può una comunità tendere una mano a chi soffre, aprirsi al raggio della speranza se è esclusivamente concentrata sul presente, come il bambino (tutto e subito) negando la storia e oscurando il futuro, spegnendo così il sogno e la speranza?
Siamo inseriti in una comunità dell’IO quando, per definizione la comunità dovrebbe essere del NOI, in una comunità dell’emergere anziché dell’accogliere, in una comunità che valorizza l’eroe (e quindi ama la morte) anziché nella comunità degli uomini con pregi e limiti, comunità delle diversità accolte e apprezzate. Le relazioni malate della nostra società ci spingono quindi alle difese per paura del contagio, ad erigere barricate, siepi ed allarmi… abitazioni come vere prigioni. La paura si tocca con mano.
Una società ammalata dunque.
Sarà possibile un antidoto? Certo non la panacea, ma la coppia, intesa come relazione d’amore, i ragazzi che si amano, può incidere positivamente sulle relazioni malate della società ed apportare un beneficio, come diceva Prévert, “salvifico”.
La coppia: luogo della formazione di una relazione d’amore
La coppia inizia a formarsi quando due persone si incontrano. Osservando il disegno precedente consideriamo le due persone come fossero due insieme a forma di ellisse. Noi sappiamo che l’ellisse non ha un centro, ma due fuochi. L’incontro di coppia, quando si trasforma in un incontro d’amore, sovrappone un fuoco all’altro, lasciando libero il secondo fuoco. Dicevamo, quando la coppia si trasforma in coppia d’amore, perché inizialmente la coppia tende, durante la prima fase dell’innamoramento, a sovrapporre un’ellisse all’altra, a far coincidere i due fuochi.
Durante l’innamoramento, infatti le due persone svolgono un gioco di specchi, sostanzialmente egoistico e perciò molto piacevole ed emozionante. L’uno rimanda all’altro tutto ciò che di bello e buono può immaginare: l’uomo comunica alla donna che lei è il massimo di tutto, della bellezza, della bontà, del piacere, perfino i difetti magicamente si trasformano in pregi; la donna, a sua volta, fa esattamente la stessa cosa… uno si specchia nell’altro e si trova meraviglioso. Per questo il desiderio sarebbe di sovrapporsi, di vivere uniti in modo simbiotico (la vita dell’uno coincide con la vita dell’altro, due in un’unica carne). Una vita incantevole, un eden senza fine, un mondo ristretto alla coppia.
Ma questa non è ancora una coppia d’amore perché a questa fase segue il ridimensionamento; si vengono via via a scoprire i limiti reciproci, dai più banali ai più profondi… finisce il gioco di specchi e si scopre che lui è diverso, è altro da me. Si inizia cioè (quando regge) la fase dell’accettazione e delle scelte. Io ti scelgo e decido (dove decidere dal latino decido significa tagliare) e sulla decisione ha inizio un processo che noi chiamiamo amore; un processo non dato una volta per tutte, ma processo dinamico che si sviluppa in continuità.
Si formano così, via via, nella coppia, come sopra raffigurata, tre zone: due zone dell’IO e una zona dell’IO-TU, la zona del NOI. Questa è anche la zona del CON (con-dividere, con-decidere, con-partecipare, con-vivere…), l’ambito proprio della coppia che supera i limiti dell’IO per aprirsi al TU senza confondersi con esso. Ognuno nella coppia deve rimanere se stesso, ma operare affinché si formi il NOI.
M. I.Rupnik – Gioacchino ed Anna – Cappella Redentori Mater – Vaticano
A rendere più plastico e vivo il concetto della coppia che trova l’equilibrio tra l’IO e il NOI può essere utile un momento di contemplazione del mosaico di Marko Ivan Rupnik, gesuita e artista contemporaneo che ha realizzato, tra le altre opere, la cappella Redemptoris Mater nel Vaticano.
In questo mosaico un occhio di Gioacchino e uno di Anna quasi si fondono in uno grazie ad una tenera vicinanza, senza confondere i due volti e le due personalità. La vicinanza dell’amore consente ai due di vedere con i propri occhi ma anche di condividere la visione e le emozioni.
Come? Nutrendosi di un cibo particolare che si chiama comunicazione la cui regola generale possiamo definire comprensione empatica, una comunicazione cioè che prende le mosse dall’ascolto connotato di affettività, empatico, appunto, perché tende a mettersi dal punto di vista dell’altro escludendo ogni atteggiamento giudicante a favore di un atteggiamento comprensivo. E’ il primo CON da curare (con – prendere, prendere dentro…) in modo che l’altro, sentendosi preso dentro, si sente amato.
La comunicazione di coppia prevede diversi livelli: verbale, gestuale, corporeo e sessuale). La sessualità (da non confondere con genialità) raggiunge il vertice della comunicazione d’amore e diventa incontro di corpi fino all’incontro d’anima.
La comunicazione aiuta quindi la coppia a superare l’egocentrismo infantile, affina la libertà di essere a preferenza della libertà di fare, conduce alla lenta accettazione incondizionata dell’altro, accolto nei suoi limiti, che poi sono alla fine i confini di ognuno, quei confini che ci permettono di essere riconosciuti nella nostra identità.
In sintesi, per mettere in risalto il valore della relazione d’amore nella coppia, potremmo dire che in essa avviene la coesistenza dell’Io e del noi. Ne consegue il superamento dell’egocentrismo infantile, la accettazione dei limiti della nostra libertà individuale e l’accoglimento dell’altro come diverso ed è possibile nella coppia sperimentare quanto la diversità arricchisca entrambi. Nella coppia è possibile ancora sperimentare l’equilibrio tra le “ragioni della mente” e le “ragioni del cuore”, ragioni che seguono logiche diverse, a volte contraddittorie. Non esistono regole fisse nella comunicazione di coppia, ma è richiesto che i due siano creativi, come del resto l’amore ha in se stesso una potenza creativa… fino alla generazione di nuova vita.
Infine ci appare evidente quanto la relazione d’amore nella coppia, alimentata dalla comunicazione, venga a forgiare anche nei due partner quegli atteggiamenti profondamente umani che possono essere considerati degli antidoti alle relazioni ammalate delle comunità. Così la comprensione ammorbidirebbe la contrapposizione in favore della tolleranza; l’affettività (rapporti caldi) fugherebbe la paura e l’angoscia in favore della fiducia e della relazione di aiuto; la creatività e l’apertura sgretolerebbe il narcisismo e l’individualismo imperanti; l’autenticità demolirebbe il muro delle apparenze e delle falsità.
Come?
- Anzitutto per contagio. E’ di s. Agostino la frase sapienziale che il bene si diffonde per se stesso (bonum diffusivum sui). Se i componenti della coppia assumono gli atteggiamenti di cui sopra non possono non intaccare positivamente ogni persona che incontrano e quindi mostrare agli altri il volto della tolleranza, della fiducia, della speranza…
- Per testimonianza: la coppia, per riferirsi a Prévert non vive nella notte, ma è immersa nel vivo delle relazioni umane, è un bagliore che non può non essere visto.
- Per impegno: quando la coppia è convinta che la relazione d’amore dà senso alla propria vita ed è aperta alla collettività può avere incidenza nella partecipazione ai momenti importanti della vita della comunità e portare il proprio apporto alle scelte politiche e sociali.
In conclusione… alcuni interrogativi
Se la coppia in quanto tale può offrire un grande potenziale “risanatore” dei rapporti sociali viene d’obbligo chiederci: “qual è l’apporto della comunità alla coppia?”
- Aiuta la formazione della coppia una comunità che privilegia e premia solo l’intraprendenza economica e finanziaria?
- Favorisce il formarsi della coppia quella comunità che non si fa abbastanza carico delle politiche giovanili?
- Sostiene la coppia la comunità che finge di non vedere i drammi che avvengono in situazioni dolorose (malattie, disoccupazione, abitazione, età della non autonomia…)
- Che fa la comunità per favorire incontri e scambi di idee e di esperienze?
- Quale immagine di coppia viene offerta dai mass media? Quella che fin dall’infanzia viene respirata?
Potrebbero porre tante domande ancora lo psicologo, il sociologo, il sacerdote e l’insegnante. Tocca però anche a noi entrare nella logica dell’amore e crederci fino in fondo.