Durante una seduta di psicoterapia, senza alcun riferimento particolare, un professore di Matematica mi fece notare che + (più), - (meno), = (uguale) e x (per) sono segni di quantità e svolgono bene la loro funzione per le operazioni base della matematica e sono utilissimi segni per i confronti tra quantità omogenee.
Lì per lì mi sembrò un’osservazione più che ovvia. Divenne invece problematica quando nella mia mente scattò un curioso collegamento con la Grammatica, precisamente con il capitolo degli aggettivi, in particolare, gli aggettivi qualificativi, quelli cioè che esprimono le connotazioni, le qualità dei nomi, le qualità delle cose, le qualità esterne e interne delle persone … le qualità.
La Grammatica utilizza quindi i segni di quantità per graduare le qualità come se le qualità potessero essere frazionate in pezzettini, pertanto sommabili, divisibili, moltiplicabili, proprio come i soldi e i fagioli, numeri di grandezza variabile, confrontabili e paragonabili come quantità.
Questi segni matematici, pur necessari per i confronti tra quantità omogenee, trasferiti nelle qualità tout court, creano una presunta scala di valori (ritmata sul +, -, =) che parte dal suo gradino infimo e appunto gradatamente (gradino per gradino… quantità per quantità) si inerpica fino al sommo, all’assoluto. Si passa così dalla qualità inesistente, o quasi, al grado di qualità assoluta, slegata da qualsiasi possibilità di confronto, né con i singoli, né con i gruppi
Ogni qualità struttura la sua scala. Così la qualità “ricco” partirà da assenza o penuria di beni e/o mezzi (povero) per giungere al “ricchissimo” (senza confronti), consentendo ai giornali di fare le graduatorie dei ricchi e dei poveri. Dal brutto al bellissimo; dall’inutile al necessario, dall’abile al disabile, dall’ignorante all’onnisciente…
nelle varie scale, salendo, il gradino superiore sarà marcato dal segno + rispetto a quello inferiore marcato dal segno - rispetto a quello superiore.